Brescello (RE)

Centro Culturale "San Benedetto"

In Via Cavallotti, al numero 37, sorge l'antico complesso monastico di San Benedetto, fatto costruire nel 1492 da Ercole I d’Este ed Eleonora d’Aragona per le monache benedettine che vi rimasero fino al 1798, prima della soppressione dell’ordine da parte di Napoleone; sotto la Repubblica Cisalpina il monastero fu trasformato in un ospedale, poi divenne una caserma. Negli anni Ottanta del Novecento, i restauri eseguiti dall’amministrazione comunale hanno parzialmente ripristinato l’antica struttura architettonica con arcate, volte e pilastri in cotto tipici del tardo romanico e il complesso è stato trasformato in un centro culturale. Attualmente vi hanno sede, oltre alla Sala del Consiglio Comunale, una biblioteca, una ludoteca, la donazione “Raffaele Vaccari”, il Museo Archeologico Romano e il Museo “Peppone e don Camillo” (ingresso da via De Amicis, 2): fondato il 16 aprile del 1989 da un gruppo di volontari brescellesi, è una tappa fondamentale per gli appassionati della fortunata saga cinematografica; al suo interno raccoglie fotografie di scena, manifesti, locandine, documenti inediti, collezioni del Candido di Guareschi e vari cimeli legati alla realizzazione dei film. Davanti al museo, in Piazza Mingori, si trova un carro armato simile a quello usato durante le riprese di Don Camillo e l’onorevole Peppone. Una vecchia locomotiva a vapore, anch'essa presente in vari film del ciclo, si trova invece nel Parco “Giovannino Guareschi”, attiguo al monastero, dove è possibile ammirare anche un busto in bronzo raffigurante lo scrittore emiliano, opera della scultrice tedesca Gudrun Schreiner. Antistante al complesso, al civico 24 di Via Cavallotti, ha sede il Museo “Brescello e Guareschi, il Territorio e il Cinema” che al primo piano, oltre ad accogliere periodicamente mostre ed eventi tematici di vario tipo, propone la ricostruzione di un set cinematografico originale; una mostra dedicata al tema dei “fuori scena”, dove i protagonisti sono gli abitanti di Brescello, ritrae invece il rapporto tra cinema e territorio; all’ultimo piano, infine, un omaggio alla realtà contadina degli anni Cinquanta e alla “Grande Alluvione” del novembre 1951.